“Qual è il tuo approccio?”
“Che metodo usi?”
“Di che scuola fai parte?”
Insomma, un articolo per spiegare grossomodo cosa combino quando “lavoro” con i cani, estratto da un commento ad un post, nel gruppo Cinofilosofia, questa sconosciuta (si parlava, citando un libro, di cosa sia l’apprendimento emozionale).
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Io non ho la più pallida idea di cosa intenda l’autore (anche visto che non so chi sia) per apprendimento emozionale, tuttavia sono d’accordo con il fatto che se si “lavora” (o si dice di lavorare) con le emozioni, bisogna sapere cosa si sta facendo, altrimenti si possono fare dei gran danni.
Ti parlo, a titolo personale, quindi senza pensare di “rivelare” alcuna “verità”, di quello che cerco di proporre quando ho a che fare con i cani, specialmente con cani che mostrano dei disagi di qualche tipo, e tengo a sottolineare come la mia estrema prudenza nello scegliere cosa proporre ai vari cani sia proprio dovuta alla consapevolezza che se non conosci bene non dico “i cani”, ma *quel* cane, in quella famiglia, in quelle circostanze, ecc ecc, è meglio essere super prudenti, piuttosto che rischiare di creare più problemi di quelli che vuoi risolvere.
Il mio “lavoro” consiste prevalentemente nel proporre a un cane delle esperienze, che possono variare moltissimo a seconda di chi è quell’individuo e da come mi si presenza nella situazione in cui ci incontriamo (stage, classi, passeggiata, a casa sua, ecc.).
Possono essere esperienze legate alla comunicazione (con o senza incontri diretti con altri cani, a volte l’olfatto a distanza è più che sufficiente, perfino troppo), legate all’espressione del predatorio, o legate ad altri aspetti del carattere e della personalità che un cane può mostrare, possono coinvolgere l’uso di oggetti (risorse), l’uso dello spazio (distanze, recinzioni, confini veri o immaginari, elementi dell’ambiente e reciproche posizioni), eccetera eccetera.
Vivere un’esperienza fa provare, a chi la vive, delle emozioni, che sono alla base di ciò che forma, in un individuo, opinioni e idee sul mondo e sulla propria relazione con il mondo stesso, perciò sono alla base di quello che determinerà i comportamenti di quell’individuo.
Se io riesco a cogliere ciò di cui un certo individuo può avere bisogno, posso scegliere delle esperienze da proporgli, che suscitino in lui/lei delle emozioni tali da cambiare la sua percezione di sé e del mondo (ovviamente, si parla di cambiamenti specifici e limitati, ma che possono nel tempo essere portati avanti e ripetuti fino a costituire una base solida per un’evoluzione interiore profonda e durevole).
Il problema e la magia di questo approccio (che NON è un metodo, in quanto cosa poi FAI quando sei di fronte a un cane, dipende dal singolo cane e dalla situazione contingente, e non esistono regole fisse o protocolli che possano andare sempre bene) è la delicatezza necessaria a entrare in contatto con una sfera interiore della personalità di un certo individuo, al punto da cercare di rendersi conto di cosa si trova alla base di una serie di comportamenti (che sono ciò che noi vediamo, di ogni individuo), per poter proporre un’esperienza che scuota le convinzioni che nel passato sono state create (per esempio che certi umani ti vogliano fare del male, o che altri cani vorranno sempre rubarti il cibo, o che la tua famiglia umana non ha interesse nell’ascoltarti e supportarti, o qualsiasi altra convinzione) e dia modo a quel cane di esperire una situazione diversa, o un esito diverso a una situazione nota, andando a modificare il suo pensiero su ciò che accade, e in conseguenza, anche i comportamenti che quel pensiero andrà, in futuro, ad esprimere.
Considerando quanto gli umani, e in particolare gli educatori cinofili che utilizzano approcci di tipo comportamentista (da “behaviourist”), sono legati al focus sul comportamento, è drammaticamente facile che si creino dei fraintendimenti veramente grossolanti, che andranno a danno del cane.
Un esempio:
se abbiamo un cane che in certi contesti si fissa a cacciare le lucertole, o addirittura qualche cosa che non esiste, e nel far ciò smette totalmente di dare retta alla sua famiglia umana, che facciamo?
Un educatore di stampo comportamentista potrebbe pensare che sia una buona idea bloccare tutti i tentativi di dedicarsi alla caccia, fino a che l’attenzione del cane non venga riportata al suo umano.
Questo l’ho visto accadere in tanti modi: con le punizioni, con i premietti, con l’utilizzo (sigh) di altri cani “regolatori” (ma quando mai?) che per motivi loro sceglievano di bloccare qualsiasi iniziativa dinamica negli altri cani, ecc.
Ma se quel comportamento di caccia “fuori contesto” fosse dovuto non a un “capriccio” del cane, bensì a un’emozione (di disagio) che gli fa attivare l’istinto predatorio ed esprimere comportamenti in effetti di evitamento e di scarico di stress, che cosa succederebbe, in quel cane, qualora venisse inibito o “convinto” a dare retta agli umani (o a confrontarsi con altri cani, o a prendere consapevolezza di essere in uno spazio recintato, o qualsiasi altra sia la causa del suo disagio)?
Evidentemente, il disagio resterebbe, e gli ci si potrebbe sommare anche una certa dose di conflitto e di sfiducia, derivanti dal non essere compreso e dall’essere di fatto costretto ad abbandonare un comportamento con cui cercava di procurarsi sollievo.
Un approccio che lavori sulle emozioni andrà a cercare per esempio, invece, di creare una situazione in cui il cane, in quel contesto, modificando alcuni parametri o proponendo dei “diversivi” più funzionali, riesca a trovarsi a suo agio, si senta capito, ascoltato, tutelato dal suo gruppo e capisca di “potercela fare”, e quindi smetta di provare disagio e conseguentemente di aver bisogno di andare in evitamento o in scarico attraverso comportamenti predatori non pertinenti.
Al contempo, chi lavora sulle emozioni però deve anche saper modulare molto bene le esperienze che propone e adattarle in tempo reale alla situazione, perché occorre “andar dietro” alle emozioni del cane (o DEI cani, se ce ne sono più di uno in campo), far sì che non si esageri, che se lo stress è comunque eccessivo siano sempre disponibili dei comportamenti che possano alleviarli (ma senza nuocere ad altri), quindi occorre far grande attenzione a non scivolare, anche involontariamente, nel dire al cane cosa deve fare (dare comandi o fare richieste), nell’impedire i comportamenti di scarico… il tutto, con la ciliegina sulla torta che esistono anche cani “melodrammatici” e manipolatori, che sono perfettamente in grado di fare delle sceneggiate incredibili pur di non dover uscire dai propri schemi mentali e faticare a trovare nuovi punti di vista sul mondo.
E’ venuto un post chilometrico, e non ho detto nemmeno un decimo di quello che avrei voluto esprimere, ma spero si riesca almeno a intuire che cosa poteva voler dire l’autore della frase citata, dicendo che per lavorare a livello emozionale in maniera efficace e non dannosa, bisogna fare veramente tanta attenzione e metterci sensibilità e competenze che si possono acquisire solo con una formazione di un certo tipo.
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